Nel periodo della nascita di Sant’Agata, la Sicilia, terra vocata al vino, era occupata dai Romani che la conquistarono. In quel periodo, nelle campagne siciliane, la produzione vinicola era in piena espansione con la produzione di molti vini considerati importanti alla stregua di quelli greci e, per questo, esportati ovunque, anche in Francia. Tra i vini prodotti si menzionano: il Marmertino, il Biblino, il Mesopotamio, il vino di Selinunte, il Murgentino, il Potulanum.
Il vino, durante i pasti dei ricchi romani, veniva usato per le libazioni, pratica che consisteva nel versare questa bevanda sulla tavola in onore della divinità. In queste occasioni si obbligavano gli invitati a bere tante volte quante erano le lettere del nome della persona alla salute della quale si beveva.
Le donne non erano ammesse ai tali banchetti perché era loro proibito bere vino, a meno che non si trattasse di danzatrici o esperte di tecniche amatorie.
Con la caduta dell’impero romano anche la Sicilia subisce le conseguenze del decadimento generale che provocò l’abbandono dell’agricoltura e quindi della vitivinicultura.
Il vino dell’Etna risale alla colonizzazione greca della Sicilia Orientale (729 a.C.), anche se vi sono testimonianze di comunità agricole riferentesi al Neolitico. Alla fine dell’800 la provincia di Catania era la più vitata della Sicilia: nei decenni successivi, la “Fillossera” e le frequenti eruzioni, diminuiscono considerevolmente la presenza della vite.
Il vino Etna ha avuto riconosciuta, nell’agosto 1968, la Doc, denominazione tra le più antiche d’Italia nonché la prima in Sicilia. La zona etnea, per le sue peculiarità pedoclimatiche diverse da tutto il resto della regione siciliana, produce vino a partire da 300 metri fino ai 1.100 metri di altitudine. L’uva che rientra nei vitigni autoctoni sono: il Nerello Mascalese, il Nerello Cappuccio, il Caricante, il Cataratto ed il Minnella.